Come superare una relazione tossica: il no contact - Fabrizio Gaoni Skip to main content
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Come superare una relazione tossica: il no contact

Come ho spiegato nel mio precedente libro (#Vascoterapia 1, 2020), il no contact è una strategia per la guarigione da una relazione tossica che può essere utilizzata anche in contesti differenti dalla relazione sentimentale.
Esso prevede “l’interruzione di ogni contatto con l’ex partner tossico” per “ritornare gradualmente ad essere padroni dei propri pensieri e delle proprie emozioni” e “superare l’ossessione provata nei confronti
dell’ex”. Non sempre esso è applicabile in toto: nel caso di persone che abbiano figli in comune, ad esempio, occorrerà ripiegare sul contatto limitato che consiste nel sentire l’ex partner esclusivamente per questioni fondamentali
di carattere legale ed economico o inerenti ai figli.

Il no contact non deve essere utilizzato in modo improprio, cioè non con lo scopo di incuriosire l’ex, riattrarlo
a sé o contro-manipolarlo. In tal caso, il fine dell’attività sarebbe sempre l’ex partner e ciò non costituirebbe in
alcun modo un’evoluzione rispetto al periodo in cui si era all’interno della relazione tossica. In questo scenario si verificherebbe la permanenza dell’ex manipolatore al centro dei propri pensieri e si confermerebbe di conseguenza il
sintomo ossessivo nei suoi confronti.

Allo stesso modo, il no contact non dev’essere inteso come una pausa temporanea
al termine della quale riprendere i contatti con l’ex manipolatore. L’idea di fondo è che il distacco avvenga
in modo definitivo, perché si tratta di una persona che ha portato nella nostra vita un carico di tossicità psicologica
ed emotiva. Applicare il no contact nella speranza di un ritorno dell’ex partner significherebbe essere ancora
schiavi dell’ossessione del lieto fine, la stessa ossessione che ci ha trattenuti a lungo dentro una relazione palesemente
tossica e nociva.

Al tempo stesso occorre essere realistici: per esperienza posso dire che non tutti i pazienti se la sentono di interrompere
in modo totale i contatti con l’ex. In tal caso, la mia opzione non è di negar loro la possibilità di un
percorso con me (anche perché rifiutando il no contact mi stanno dimostrando massimamente il loro bisogno di
seguire un percorso), bensì di incominciarlo e di lavorare in profondità sulle reali cause per cui il paziente rimane
ancora parzialmente legato all’ex partner tossico. Il lavoro si concentra su quelle convinzioni, su quei ricordi, su quelle scene che mantengono il legame con il partner tossico. Sbloccare questi punti permette alla persona di
cambiare atteggiamento verso il no contact senza dover agire in modo diretto, aggirando quindi la resistenza iniziale
che non consentiva alla paziente di liberarsi).

IL NO CONTACT NON È UNA PAUSA
TEMPORANEA: L’IDEA DI FONDO
È CHE IL DISTACCO SIA DEFINITIVO
PERCHÉ SI TRATTA DI UNA PERSONA
CHE HA PORTATO NELLA NOSTRA VITA
UN CARICO DI TOSSICITÀ PSICOLOGICA
ED EMOTIVA.

Poniamo invece il caso in cui la persona decida di adottare da subito il no contact: in che modo il percorso psicologico può esserle di sostegno?

Prima di tutto, nella fase iniziale, il percorso è utile per accedere alla motivazione necessaria per mettere in atto il no contact. Da questo momento in poi il percorso psicologico diviene fondamentale per mantenere alta la motivazione anche negli inevitabili momenti di crisi emotiva, quando la persona sarà tentata dal canto delle sirene al ritorno con l’ex. Sarà decisivo per divenire sempre più consapevole e rafforzare sempre di più la convinzione della scelta. Sarà inoltre fondamentale se si verificheranno delle ricadute. Il grado delle ricadute può variare di molto: si va da quelle più lievi, come rileggere la chat con l’ex o controllarne le storie su Instagram, a quelle più importanti quali il risentirlo telefonicamente, organizzare un incontro, baciarlo, avere un rapporto sessuale con lui, addirittura pensare di rimettercisi insieme.
Spesso, quando la persona mi parla di queste ricadute, lo fa in uno stato d’animo palesemente negativo, con la non troppa segreta paura di essere redarguita, come se avesse rotto una sorta di sacra alleanza con me, un patto importante: spesso quello che il paziente riferisce è il timore, a volte la certezza, di avermi deluso. Non di rado ciò è accompagnato dalla convinzione di aver commesso un atto irreparabile, totalmente proibito e tabù.

È un momento fondamentale del percorso psicologico: la persona si trova in uno stato di vulnerabilità e soprattutto
di umiliazione, e qui la risposta dello psicologo diviene fondamentale. Vorrei dire che è fondamentale non tanto
ciò che lo psicologo dice ma l’atteggiamento con cui reagisce. Se risulta severo, anche se le parole sono ponderate,
il paziente probabilmente si sentirà giudicato e non accolto per l’errore che ha commesso, avrà la sensazione
di trovarsi di fronte ad un “genitore cattivo”.

Spesso i miei pazienti sono sorpresi dall’atteggiamento rilassato con cui reagisco ai racconti delle loro trasgressioni: di solito, a fine seduta, mi dicono che è stato l’elemento che li ha maggiormente colpiti. Perché? Perché immaginavano già di essere giudicati, colpevolizzati, rifiutati, abbandonati a livello emotivo; scoprono invece che persiste l’atteggiamento
di accoglienza nei loro confronti, la disponibilità a capire le ragioni per cui hanno ceduto e la volontà di normalizzare quanto è accaduto, smontando la convinzione per cui quanto commesso sarebbe irreparabile e testimonierebbe la loro incapacità di farcela nella vita e di uscire dalla relazione tossica.  È chiaro che sarebbe meglio non ci fossero ricadute importanti ma a volte è proprio nella seduta successiva alla ricaduta che avviene una delle esperienze più trasformative ed importanti.

A volte è il passaggio necessario per dare la conferma definitiva che la relazione con l’ex è da abbandonare completamente, oltre alla certezza di poter contare su un’accettazione incondizionata da parte del proprio psicologo, non vincolata al “comportarsi bene” o al “performare” in un certo modo. Insomma, si tratta di una straordinaria opportunità per il paziente di sentire che ha valore per ciò che è, che è importante per ciò che è e non per ciò che fa.

È proprio quando prende coscienza di questa sua amabilità al di là delle azioni che il paziente è massimamente in grado di cambiare, modificando il suo fare: il paradosso del cambiamento psicologico è che passa prima attraverso un’accettazione di ciò che è attualmente la persona.

 

 

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